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Chi Siamo

 

COMPOSIZIONE E COMPETENZE DEI TRIBUNALI PER I MINORENNI 

Il Tribunale per i Minorenni (T.M.) è un ufficio giudiziario pertinente alla giurisdizione ordinaria, specializzato e a composizione mista, formato da giudici professionali (c.d. togati) e da giudici onorari, che sono degli esperti nominati dal Consiglio Superiore della Magistratura per un periodo rinnovabile di tre anni e scelti tra soggetti “benemeriti dell’assistenza sociale, che siano cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia e di psicologia”. 

Il T.M. ha una competenza territoriale che coincide con il distretto della Corte di Appello. A livello nazionale operano 29 T.M.. 

Il T.M. esercita la giurisdizione in materia penale, civile ed amministrativa nello spirito della realizzazione del migliore interesse del minore (v. art. 3, comma 1, Convenzione di New York del 1989, ratificata dall'Italia con la Legge 176 del 1991, che ha statuito: “ In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente“).

 

Competenza penale 

In materia penale il T.M. ha competenza esclusiva: giudica, infatti, di tutti i reati commessi da soggetti che, al momento del fatto, avevano un’età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni; il minore infraquattordicenne è considerato dal legislatore non imputabile per difetto della capacità d’intendere e di volere (art. 97 c.p.)

Il procedimento penale si snoda attraverso le fasi tipiche di quello previsto a carico degli adulti, anche se il legislatore ha dettato delle regole specifiche tese a disciplinare il processo nei confronti dei minorenni, contenute nel d.p.r. 22 settembre 1988 n. 448. Non è raro che il giudizio avvenga dopo parecchio tempo e che quindi si celebri nei confronti di chi è ormai maggiorenne; ciò nonostante, si applicano sempre le regole del processo penale minorile. 

L’attività penale è svolta dal Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.),  giudice "togato"  che decide monocraticamente , dal Giudice dell'Udienza Preliminare (G.U.P.), composto da un giudice  togato e da due giudici onorari e dal Tribunale in sede dibattimentale, composto da due giudici togati e due giudici onorari (un uomo e una donna). Il T.M. esercita anche le funzioni di tribunale di sorveglianza (due giudici togati e due giudici onorari). 

Il giudice per le indagini preliminari interviene durante la fase delle indagini preliminari per convalidare l’arresto, il fermo e l’accompagnamento a seguito di flagranza, ovvero per disporre l’applicazione di una misura cautelare. E’ inoltre competente a pronunciarsi sulla richiesta di archiviazione e sulla richiesta di proroga delle indagini preliminari.

Gli imputati e indagati minorenni possono essere sottoposti a delle prescrizioni inerenti l’attività lavorativa, di studio ovvero altre attività educative, alla misura della permanenza in casa, alla misura del collocamento in comunità e, quando si procede per reati puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni o in determinati altri casi previsti dall’art. 23 d.p.r. 22.9.1988 n. 448 (approvazione delle disposizione sul processo penale per i minorenni), può essere applicata nei loro confronti la misura della custodia cautelare in un istituto penale per i minorenni.

Il tribunale del riesame e dell’appello cautelare è un organo collegiale composto da due magistrati togati e due onorari ed esercita le attribuzioni di cui agli articoli 309 e 310 c.p.p..

Il giudice per l’udienza preliminare  è competente a valutare la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero. L’udienza preliminare è la sede privilegiata per la definizione del procedimento; infatti, se vi è il consenso dell’imputato (che può essere espresso anche dinanzi al p.m. nella fase delle indagini preliminari), il giudice può pronunciare sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale o per irrilevanza del fatto, ovvero sentenza di condanna ad una pena pecuniaria o ad una sanzione sostitutiva. A differenza del processo penale ordinario a carico di imputati maggiorenni non è prevista la costituzione di parte civile e non si applica il rito alternativo del patteggiamento.

Il processo è definito nella fase dell’udienza preliminare anche quando l’imputato chiede il giudizio abbreviato ovvero quando è disposta la sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato (art. 28 d.p.r. 22.9.1988 n. 448). Quest’ultimo istituto è applicato allorquando il giudice ritiene che sussista la concreta possibilità di un’evoluzione positiva della personalità dell’imputato (desunta dalla acquisita consapevolezza del disvalore del fatto commesso e, secondo la giurisprudenza di questo tribunale, dalla sua ammissione). In tali casi il processo è sospeso (per un periodo non superiore a tre anni quando si procede  per reati per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni o, negli altri casi, per un periodo non superiore ad un anno) e l’imputato sottoposto ad un percorso rieducativo. All’esito del periodo indicato, che in determinati casi può essere totalmente o parzialmente trascorso in una struttura comunitaria (secondo la giurisprudenza di questo tribunale), se la prova ha dato esito positivo il giudice dichiara estinto il reato.

Il dibattimento si svolge dinanzi ad un collegio composto da due magistrati togati e due giudici onorari. In virtù del richiamo operato nell’art. 1 del d.p.r. 22.9.1988 nel processo penale a carico di imputati minorenni si applicano le disposizioni previste dal citato decreto e, per quanto da esse non previsto, quelle del codice di procedura penale. Tale fase processuale risente in misura minore della necessità di adeguare i vari istituti processuali alle esigenze dell’imputato minorenne; tuttavia, anche in questa fase si applica l’istituto della messa alla prova e possono essere pronunciate le sentenze di non doversi procedere per irrilevanza del fatto e per concessione del perdono giudiziale. Come anticipato, non è ammessa la costituzione di parte civile, non è consentito il rito alternativo del patteggiamento e non si emette condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.

I principi generali del codice di procedura penale minorile sono i seguenti:

1) l’art. 1 DPR 448/88, sopra richiamato, sancisce i principi di adeguatezza e sussidiarietà; il sistema non è autonomo ma si integra con il codice di procedura penale ordinario;

2) le garanzie difensive del minore prevedono: a) assistenza del difensore; b) assistenza degli esercenti la potestà genitoriale o di altra persona idonea indicata dal minore ed ammessa dall’Autorità Giudiziaria; c) assistenza dei Servizi minorili dell’Amministrazione della Giustizia e dei Servizi di assistenza istituiti dagli enti locali;

3) l’informazione di garanzia e tutti gli altri atti per i quali è prevista la notifica all’indagato e all’imputato (se ancora minorenne), devono essere notificati, a pena di nullità, anche all’esercente la potestà genitoriale (v. art. 7 D.P.R. 448/98);

4) obbligo per il pubblico ministero e il giudice di acquisire elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minore al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili. Le relazioni sociali possono essere utilizzate anche quando al momento del processo l’imputato è diventato maggiorenne (art. 9 DPR n. 448/88);

5) in caso di urgente necessità, il giudice penale, con separato decreto, può adottare provvedimenti civili temporanei a protezione del minore. Tali provvedimenti sono immediatamente esecutivi e cessano di avere effetto entro trenta giorni dalla loro emissione (cfr. art. 32, comma quarto, D.P.R. 22.9.1988 n. 448);

6) non è ammesso l’esercizio dell’azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato. La sentenza penale non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato (v. art. 10 dpr 448/88);

7) le sentenze penali sono appellabili dinanzi alle Corte di Appello sezione per i minorenni, ad eccezione dei casi indicati dall’art. 32 comma terzo Dpr 22.9.1988 n. 448, che disciplina l’opposizione alle sentenze di perdono giudiziale e di condanna a pena pecuniaria o di applicazione di una sanzione sostitutiva emesse all’esito dell’udienza preliminare.         

Il tribunale per i minorenni e il magistrato di sorveglianza per i minorenni esercitano le attribuzioni della magistratura di sorveglianza nei confronti di coloro che commisero il reato quando erano minori degli anni diciotto. La competenza cessa al compimento del venticiquesimo anno di età (art. 3 d.p.r. 22.9.1988 n. 448).    

Competenza civile

La competenza del T.M. in materia civile  non è, invece, esclusiva, poiché ci sono anche altri giudici che decidono questioni riguardanti la tutela dei minori (Tribunale ordinario e  Giudice Tutelare), e le sue attribuzioni sono previste da norme espresse, contenute nel codice civile ovvero in leggi speciali.

La norma di più ampia portata è quella di cui all’art. 38 d. att. Codice civile, che elenca una serie di provvedimenti di competenza del Tribunale per i Minorenni, stabilendo che lo stesso “in ogni caso decide in camera di consiglio sentito il pubblico ministero”, prevedendo peraltro che sono “emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria”.

Tale disposizione è stata recentemente modificata dall’art. 3 della Legge 10 dicembre 2012, n. 219 (disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali) con la conseguenza che “sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 332, 333, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile”.

Al T. M. spettano pertanto, in via principale, gli interventi a tutela dei minori nei casi in cui i genitori non adempiono in modo adeguato o quando non adempiono affatto ai loro doveri nei confronti dei figli (l’art. 147 del codice civile fissa tali doveri in quelli di mantenimento, educazione ed istruzione).

Il Tribunale può porre dei limiti all'esercizio della potestà genitoriale, emanando prescrizioni ai genitori del minore ed attivando l’intervento dei servizi socio-sanitari per sostenere e controllare le condizioni di vita del minore in famiglia (art. 333 del codice civile). Può, inoltre, allontanare il minore dalla casa familiare (artt. 330, 333 e 336 codice civile) e affidarlo, temporaneamente, ad altra famiglia o istituto o anche a persone singole (artt. 2 e 4 della legge n. 184/83). Nei casi più gravi, può dichiarare i genitori decaduti dalla potestà sui figli (art. 330 del codice civile) e, quando il minore viene a trovarsi in una situazione di abbandono morale e materiale, dichiararne lo stato di adottabilità e inserirlo definitivamente in un’altra famiglia, disponendo l’interruzione dei rapporti del minore con la famiglia di origine (artt. 8 e ss della legge n. 184/83).

 

Nello stesso ambito si collocano i provvedimenti di affidamento familiare per ovviare a temporanee difficoltà dei titolari della potestà genitoriale che, comunque, non vi consentano (potendo, altrimenti, essere disposto dall’Autorità amministrativa a norma dell’art. 2 e ss., L.184/1983), ovvero a difficoltà che si presentino più stabili e difficilmente superabili. In quest’ultimo caso l’affidamento può preludere ad una sentenza di adozione in casi particolari a norma dell’art.44, L.184/183.

Nell'ambito della competenza civile del T.M. rientravano – e rientrano nei limiti che appresso si chiariranno - i provvedimenti che regolano l’affidamento dei figli di genitori non sposati, che hanno cessato la convivenza e che sono in situazione di conflitto rispetto all’esercizio della potestà genitoriale (art. 155 e 317 bis codice civile). Questa competenza ha acquisito notevole rilievo dopo la novella introdotta dalla L. 54/2006 e l’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione che ha ritenuto la competenza del tribunale per i minorenni anche per i provvedimenti relativi al mantenimento del minore e sull’assegnazione della casa familiare, allorché disponga in tema di affidamento della prole e di regolamento degli incontri.

In questi casi il T.M. emette decreti con efficacia di titolo esecutivo per le disposizioni di carattere patrimoniale, secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente. Tali provvedimenti, per il carattere sostanzialmente contenzioso dei procedimenti relativi, sono impugnabili – secondo una recente giurisprudenza - nei termini previsti per l’appello ordinario dinanzi alla Corte di Appello, sezione minorenni, e le decisioni del giudice di seconda istanza sono suscettibili di ricorso in Cassazione.

Tale competenza del T.M., tuttavia, per effetto della Legge 10 dicembre 2012 n. 219 – che realizza la piena parificazione dei diritti spettanti ai figli nati fuori dal matrimonio con quelli nati nel matrimonio – residua esclusivamente per i procedimenti già pendenti alla data di entrata in vigore della novella legislativa.  

Come sopra anticipato, l’art. 3 della predetta legge è intervenuto sulla competenza del tribunale per i minorenni modificando l’art. 38 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile anche nella parte in cui contemplava i procedimenti ex art. 316 e 317 bis c.c., attribuendoli al tribunale ordinario.

Le disposizioni di cui al citato art. 3 della L. 10 dicembre 2012 si applicano, tuttavia, ai giudizi instaurati a decorrere dall’entrata in vigore (1.1.2013) della richiamata legge (v. art. 4 concernente la disciplina transitoria), con la conseguenza che per i processi relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli di genitori non coniugati pendenti davanti al tribunale per i minorenni alla data di entrata in vigore della legge residua la competenza del giudice specializzato e si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile e il comma secondo dell’art. 3 della citata novella legislativa.

Parimenti, secondo il modificato art. 38 disp. att. cod.civ., “Per i procedimenti di cui all’art. 333 c.c. resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 del codice civile; in tale ipotesi, per tutta la durata del processo la competenza, anche per le disposizioni richiamate nel primo periodo della citata disposizione, spetta al giudice ordinario”.

Anche in tale caso, tuttavia, le disposizioni di cui all’art. 3 della L. 10 dicembre 2012, n. 219 si applicano ai giudizi instaurati a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge (1.1.2013).

Per l’effetto della novella legislativa e della citata disposizione transitoria, permane la competenza del T.M. a decidere le cause già promosse prima dell’1.1.2013: 1) per l'accertamento e la dichiarazione della paternità e della maternità naturale  (art. 269 e ss. C.C.); 2) per l’autorizzazione al riconoscimenti dei figli quando manca il consenso del genitore che per primo li ha riconosciuti (art.252 C.C.); 3) per l’aggiunta del cognome del padre naturale che non abbia riconosciuto il figlio al momento della nascita (art.262 C.C.).

Il T.M., ai sensi dell’art. 35 disp.att. codice civile, è competente ad autorizzare il riconoscimento del minore nei casi previsti dall’art. 251 c.c. (figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale  nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta), avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.

Il T.M. dichiara l’interdizione o inabilitazione del minore nell'ultimo anno della minore età (art. 40 disp. att. codice civile) e autorizza, per gravi motivi, il minore che abbia compiuto gli anni16 acontrarre matrimonio (art.84 C.C.).

Il T.M., inoltre, può adottare provvedimenti che concernono la materia patrimoniale. A seguito della modifica adottata dalla novella legislativa menzionata, residuano la nomina di un curatore speciale che assista il minore nella stipulazione delle convenzioni matrimoniali (art. 90 c.c.) e l’autorizzazione del tutore alla continuazione di un’impresa commerciale nell’interesse del minore (art. 371, u. co. c.c.).

Il T.M., tuttavia, continua a adottare gli ulteriori provvedimenti patrimoniali previsti dall’art.38 disp. att. cod.civ., vecchio testo, nei limiti relativi a procedimenti già pendenti all’entrata in vigore della L. 10 dicembre 2012, n. 219.  

Il T.M. decide anche sull’idoneità all'adozione internazionale delle coppie aspiranti e provvede a rendere efficaci in Italia i provvedimenti stranieri di adozione.

Sceglie inoltre le coppie per l’adozione di bambini italiani dichiarati adottabili. Alla fine del periodo di affidamento preadottivo pronuncia l'adozione, sia internazionale, che nazionale.

Tra le competenze previste da leggi speciali merita menzione, per il rilievo quantitativo dei casi, quella di cui all’art.31, comma III, D.L.vo 286/1988. Questa norma attribuisce al tribunale per i minorenni il potere di autorizzare in via temporanea la permanenza in Italia dei familiari di un minore straniero che si trova sul territorio dello Stato, per gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico e tenuto conto della sua età e delle condizioni di salute, anche in deroga alla normativa sull’immigrazione. Si tratta di un’applicazione del principio di preminenza dell’interesse del minore, sancito dalla normativa internazionale, che importa valutazioni di particolare delicatezza, onde evitare che l’esercizio del potere di autorizzazione si risolva nell’elusione della disciplina sul controllo dell’immigrazione, che pure tutela interessi di rilievo.

Tra le competenze previste dalla normativa internazionale merita riferimento, per i delicati risvolti e la sua sempre più frequente applicazione, quella relativa alla sottrazione internazionale di minori ex art.7 L.64/94 (che attribuisce la competenza al T.M. in materia di ritorno del minore illecitamente trasferito all’estero, ovvero di attuazione del “diritto di visita” del genitore non affidatario che risieda in uno Stato diverso da quello di residenza del figlio).  

Il T.M. ha anche una competenza  amministrativa che riguarda interventi educativi a favore di adolescenti in difficoltà  e con condotta irregolare (artt. 25 e 25 bis del R.D. 1404/34 e succ. modifiche).

In tutte le materie di competenza, caratteristica importante dell'attività del T.M. è quella di avvalersi della collaborazione dei servizi socio-assistenziali e delle aziende sanitarie provinciali; l'intervento sul minore o sulle famiglie non risulta pertanto caratterizzato da spirito sanzionatorio, ma propositivo di migliori condizioni di vita e di migliori relazioni familiari, attraverso l'attivazione dei servizi necessari in una determinata situazione.

Quando il provvedimento è emesso dal Tribunale per i Minorenni il reclamo si propone davanti alla sezione di Corte di Appello per i Minorenni (v. art. 38, comma quarto, disp. att. cod.civ.) nei termini di cui all’art. 739 c.p.c. (giorni dieci) o nei diversi termini previsti dalle disposizioni delle leggi speciali. Salvo che la legge disponga diversamente, non è ammesso reclamo contro i decreti della Corte di Appello.

I provvedimenti emessi nelle materie contemplate dall’art. 38 disp.att. cod.civile sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente (v. art. 38 terzo comma).

Per un quadro riassuntivo del riparto di competenza tra Tribunale per i minorenni, Tribunale ordinario e Giudice Tutelare nelle materie relative ai minori si rinvia al prospetto elaborato.